Chi possiede un oggetto in porcellana di Capodimonte custodisce, in realtà, un frammento della tradizione settecentesca che Ferdinando di Borbone trasformò in arte di corte. Quei petali sottilissimi, le teste di pastore scolpite con espressioni vivide, le venature sulle foglie modellate una a una a mano non sono semplici decorazioni: rappresentano l’essenza stessa di un materiale nobile che, rispetto alla porcellana dura di Meissen o a quella feldspatica di Limoges, si distingue per la ricetta “tenerissima”, quasi stucchevole, che fonde finissima caolinite con feldspati leggeri e un tenore di quarzo inferiore. Il risultato è un biscotto più poroso, ricoperto da una vernice bianca calda e sorprendentemente luminosa, ma anche più vulnerabile alle variazioni di temperatura e alle infiltrazioni di umidità. Comprendere questa sensibilità significa adottare un approccio di pulizia che tuteli la patina storica e il micro dettaglio plastico invece di aggredirlo. Prima ancora di pensare a un detergente, conviene osservare l’oggetto in controluce, individuare se l’oro zecchino è dipinto a pennello o se le luci iridescenti sono frutto di una terza cottura a madreperla, riconoscere eventuali stuccature di restauro, intuire dove la polvere si sia annidata fra le pieghe delle rose o all’interno dei busti cavi.
Indice
Preparare l’ambiente di lavoro e mettere in sicurezza l’oggetto fragile
La pulizia di una Capodimonte non inizia mai sotto il rubinetto, bensì su un piano ampio, rivestito di un telo in spugna disposto a doppio strato. Questa precauzione assorbe gli urti qualora la statuetta sfuggisse di mano e impedisce che frammenti minuscoli si perdano in un eventuale incidente. Una fonte luminosa diffusa, come la luce naturale del mattino filtrata da una tenda, consente di riconoscere granelli di polvere incastrati nelle cavità che, se strofinati, potrebbero graffiare la superficie vetrosa. L’oggetto va maneggiato con dita prive di anelli e di braccialetti, poiché un’impercettibile scalfittura metallica basterebbe a intaccare la brillantezza della vernice. Guanti di cotone leggero riducono l’impronta di sudore e grasso cutaneo, elementi invisibili che col tempo opacizzano il lucido. Alcuni collezionisti preferiscono i guanti in nitrile perché offrono maggiore presa; la scelta è personale, ma ciò che conta è mantenere un contatto fermo e delicato, sorreggendo la base larga dell’opera, mai i piccoli sporgenze decorative.
Eliminare la polvere in sospensione con metodi assolutamente non abrasivi
Il nemico numero uno della porcellana è la polvere che si accumula e, compattandosi, diventa un velo grigiastro. Per rimuoverla non basta una passata sommaria, occorre procedere con un pennello a setole morbide di martora o con una pera soffiante da fotografo, strumenti capaci di penetrare fra riccioli di capelli, tralci di vite e pizzi in rilievo senza strappare nulla. Il pennello va tenuto inclinato e mosso con leggerezza mentre l’altra mano soffia piano, così il pulviscolo vola via e non si rideposita. In questa fase si evita qualsiasi contatto con panni in microfibra, spesso consigliati per altri oggetti d’arte ma sconsigliati qui, perché le minuscole fibre possono impigliarsi ai rilievi floreali, trascinandoli. Terminata la spolveratura, si ruota la statuetta in ogni direzione e si osserva se resta qualche residuo, soprattutto nei sottosquadri o fra le dita minute. Rimuovere queste particelle sottili prima del passo successivo è fondamentale: mescolandosi all’acqua formerebbero micro abrasivi.
Detergere la superficie smaltata con acqua appena tiepida e sapone neutro
La vera pulizia inizia dopo che la polvere è scomparsa. Si riempie una bacinella di plastica con acqua distillata a temperatura corporea e vi si scioglie una goccia di sapone liquido di pH neutro, privo di profumi intensi o additivi sgrassanti. L’acqua distillata è preferibile a quella di rubinetto perché evita depositi di calcare che, specialmente nelle scanalature, indurendosi lascerebbero incrostazioni opache. Con una spugna di mare naturale, tagliata in un piccolo tassello, si inumidisce la superficie senza generare schiuma, insistendo a piccoli cerchi senza pressione. La spugna non rilascia fibre e, se opportunamente strizzata, non gocciola negli interstizi. Dopo ogni passaggio si risciacqua la spugna, mai l’oggetto, e si prosegue finché la lucentezza originale riappare. Le zone dorate, soprattutto se trattate a terzo fuoco con leggera rilucidatura a brunitoio, non devono entrare in contatto prolungato con l’umidità: il film d’oro è sottilissimo e, anche se l’acqua non lo scioglie, potrebbe penetrare nelle micro fessure sottostanti e sollevare il lamierino. Per questo motivo si procede per piccoli settori, asciugando immediatamente con un panno in viscosa incredibilmente morbido, tamponando senza strusciare.
Affrontare macchie ostinate e strati di nicotina con cautela chimica controllata
Capita che un prezioso Capodimonte ereditato dai nonni porti con sé ricordi di tante cene fumose, testimoniati da un velo giallastro difficile da scalfire con il solo sapone. In questi casi si ricorre a una soluzione di alcol isopropilico diluito a cinquanta gradi, stendendolo con un bastoncino di cotone in aree circoscritte. L’alcol leggero scioglie la pellicola di catrame senza intaccare vernice e pigmenti, ma richiede mano svelta: appena la patina si dissolve, si rimuove il residuo con un batuffolo pulito imbevuto in acqua distillata e si tampona a secco. Se permangono ombre brune, a volte presenti nelle pieghe del pizzo in porcellana traforata, si può creare un gel delicato mescolando bicarbonato finissimo con acqua fino a ottenere una crema fluida; il gel viene appoggiato, mai strofinato, per dieci minuti, poi sollevato con un pennello umido. Il bicarbonato, per sua natura leggermente alcalino, neutralizza gli acidi del fumo ma non corrode lo smalto. Subito dopo, però, è buona prassi riequilibrare il pH ripassando la zona con un coton fioc intinto in sola acqua distillata. Sulla policromia dei volti – gote rosa, labbra carminio, occhi delineati – non si deve usare alcun abrasivo: i colori a bassa fusione applicati sopra il primo smalto sono i più vulnerabili.
Gestire la pulizia dell’interno cavo e delle basi montate su velluto
Molti gruppi figurativi di Capodimonte poggiano su una base forata. All’interno si formano accumuli di polvere e, nei decenni, perfino piccole colonie di insetti se il legno del basamento trattiene umidità. Per bonificare l’interno si utilizza una piccola aspirapolvere da modellismo, dotata di tubicino di silicone, introducendo la punta con delicatezza e mantenendo la suzione al minimo. Se la base è rivestita di velluto rosso, tipico degli anni Cinquanta, non va bagnata in nessun caso. La polvere si rimuove con strisce di nastro adesivo a bassa presa, poggiate e sollevate senza strappo. Eventuali macchie scure di colla ossidata possono essere appena sfiorate con un cotton fioc inumidito di acqua tiepida e subito asciugato con aria fredda, altrimenti il velluto si gonfia lasciando aloni.
Asciugatura lenta e ambiente privo di sbalzi termici per consolidare il risultato
Terminata la detersione, l’oggetto non va rimesso immediatamente in vetrina. Il cuore poroso della porcellana può aver assorbito microscopiche quantità d’acqua che, se evaporassero troppo in fretta, creerebbero microtensioni e conseguenti cavillature invisibili oggi ma destinate ad aprirsi con il tempo. Perciò la statuetta si appoggia su un ripiano ventilato a temperatura costante, avvolta da una campana di tulle che evita il deposito di nuova polvere. Dopo un paio d’ore il dorso della porcellana dovrebbe restare tiepido al tatto; solo allora si procede a dare un leggero colpo di lucentezza con panno di seta pura, il cui potere statico richiama le ultime particelle. Questa finitura sotto forma di carezza esalta la trasparenza del rivestimento vetroso e restituisce alla luce lo stesso scintillio che il pezzo aveva appena uscito dalla muffola.
Prevenire l’ingiallimento e proteggere la porcellana tra un intervento e l’altro
Una corretta manutenzione riduce la necessità di pulizie profonde. È sufficiente una spolverata mensile con piumino in marabù, che smuove la polvere senza depositarla, e un controllo semestrale dei punti difficili con la pera soffiante. La vetrina di esposizione dovrebbe essere collocata lontano da finestre orientate a sud, perché la luce diretta innesca l’ingiallimento dei leganti organici presenti nei pigmenti. Un piccolo misuratore di umidità, mantenuto intorno al cinquanta per cento, evita che l’aria troppo secca renda friabili le paste a rilievo; allo stesso tempo un tasso troppo elevato favorirebbe condense notturne. Quando si decide di riporre il pezzo per lunghi periodi, si avvolge prima in carta velina priva di acidi, poi in pluriball leggero, facendo attenzione a non schiacciare le parti sporgenti, e lo si alloggia in scatole rigide imbottite con chips di polistirolo, sempre in posizione verticale.