I filati sono, a tutti gli effetti, materiali vivi: respirano l’umidità ambientale, assorbono odori, si caricano elettrostaticamente, perdono torsione e, se mal custoditi, attirano polvere e parassiti. Una matassa di pura lana merino può mantenere elasticità e lucentezza per decenni, ma basta lasciarla in un cesto vicino a un calorifero per poche settimane perché le fibre si secchino, si indeboliscano e si infeltriscano al minimo attrito. Il cotone, al contrario, teme l’umidità stagnante e il contatto prolungato con superfici acide o con sacchetti di plastica non traspiranti, che favoriscono la formazione di muffe invisibili tra le fibre. La seta, ancora più delicata, soffre la luce diretta che degrada la fibroina, ingiallendo il filo e rendendolo rigido come carta. Tutto ciò rende la conservazione un atto di cura imprescindibile, al pari della scelta di un ferro da maglia di qualità o di un modello sartoriale ben disegnato. Avere filati integri significa assicurarsi un risultato finale che rispecchi fedelmente la resa cromatica e tattile immaginata al momento dell’acquisto.
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L’ambiente ideale: equilibrio tra temperatura, umidità e luce
Per custodire i gomitoli non basta riporli in un armadio qualsiasi. La stanza deve offrire una temperatura stabile, compresa preferibilmente fra i sedici e i ventidue gradi, lontana dagli sbalzi termici che favorirebbero condensa all’interno delle fibre cave della lana. L’umidità relativa va mantenuta intorno al cinquanta per cento: aria troppo secca priva il filo di quelle percentuali minime d’acqua legate chimicamente alle proteine, con conseguente fragilità; aria troppo umida porta al proliferare di muffe latenti, che all’inizio non si vedono ma rilasciano enzimi in grado di ossidare i pigmenti. La luce naturale va schermata con tende leggere, poiché i raggi ultravioletti degradano i coloranti soprattutto nelle tonalità rosse e violacee, che contengono molecole più sensibili all’ossidazione. Un piccolo igrometro digitale appoggiato sul ripiano delle scatole di stoccaggio diventa quindi il primo strumento di controllo continuo, al pari del termometro che si tiene in una cantina vinicola.
Supporti e contenitori che rispettano la natura del filo
Il materiale del contenitore influisce direttamente sullo stato del gomitolo. Le scatole di cartone acid free, simili a quelle usate per gli archivi fotografici, proteggono dalla polvere senza rilasciare composti volatili acidi responsabili del progressivo ingiallimento del cotone. Per chi preferisce soluzioni trasparenti, le cassette in polipropilene a chiusura ermetica offrono un’ottima barriera contro gli insetti ma vanno usate con sacchetti di cotone interni, perché il polipropilene, pur inerte, genera condensa se la temperatura ambientale oscilla. Le buste sottovuoto non sono consigliabili per filati naturali: comprimendo la fibra, alterano la torsione originale e, allo srotolamento, il filo tende a spezzarsi nelle zone schiacciate. Un trucco diffuso tra restauratori tessili consiste nell’avvolgere la matassa in carta velina non patinata, intercalando fra strato e strato sottili fogli di Tyvek che favoriscono la traspirazione senza attrarre polvere. Così il gomitolo resta morbido, non si impolvera e mantiene intatta la forma.
Protezione dagli insetti senza usare sostanze aggressive
La tentazione di riempire l’armadio di naftalina è ancora diffusa, ma i suoi vapori, oltre a essere potenzialmente tossici, penetrano nella fibra animale alterandone l’odore in modo permanente. Esistono alternative naturali altrettanto efficaci. Il legno di cedro, ricco di oli essenziali citrati, rilascia una fragranza sgradita alle tarme; bastano alcune tavolette levigate da sostituire o carteggiare ogni sei mesi per ravvivare l’aroma. La lavanda, in piccoli sacchetti di lino, svolge la stessa funzione pur con un profumo più dolce: occorre rinnovarla ogni stagione per mantenere alta la concentrazione dei composti volatili. Per chi preferisce soluzioni ancora più discrete, gli aromi microincapsulati su cartoncini inodore, reperibili nelle mercerie specializzate, diffondono un principio attivo a base di piretro naturale che allontana gli insetti, senza rilasciare fragranze percepibili.
Metodi di avvolgimento e catalogazione per preservare la torsione
La forma in cui il filo riposa è determinante per la sua longevità. Le matasse vendute sfuse andrebbero sempre trasformate in cake o gomitoli usando un swift e un arcolaio: in questo modo la torsione si distribuisce uniformemente e si evitano tensioni localizzate. Il cake cilindrico poggia su una base larga, non rotola e impedisce al filo di spezzarsi sul bordo di appoggio, problema tipico delle matasse appese a un chiodo. Chi ama conservare la forma originale può legare la matassa in quattro punti con filato di scarto, avendo cura di bloccarla solo leggermente per non imprimere strozzature. Una volta formato il gomitolo, inserirlo in un sacchettino traspirante e annotare all’esterno, con un cartellino, composizione, metraggio e bagno di tintura rende semplice individuare la partita senza aprire ogni volta la confezione. Il cartellino ideale è in cartoncino non sbiancato, scritto a matita: la grafite non migra e, se serve, si cancella senza lasciare residui acidi.
La gestione delle rimanenze e il ruolo del congelatore
Dopo aver terminato un progetto restano quasi sempre gomitoli parziali che qualcuno getta via per mancanza di spazio. In realtà proprio questi avanzi rappresentano il laboratorio di creatività per campionature future. Per evitare che piccole quantità si disperdano sotto il peso dei nuovi acquisti, vale la pena radunarli in una sola scatola, ordinati per composizione più che per colore, così da ritrovarli quando servirà un ciuffo di mohair o una treccia di lino per rifinire una sciarpa. Se non si ha certezza dell’origine e della possibile contaminazione da larve di tarma, sottoporre le rimanenze a un ciclo di quaranta-otto ore nel congelatore, chiuse in un sacchetto ermetico, uccide eventuali uova nascoste nelle fibre. Dopo l’abbattimento termico, i filati vanno lasciati acclimatare per un’intera giornata, ancora sigillati, per evitare condensa interna che li rovinerebbe.
Rotazione periodica e controllo visivo come manutenzione preventiva
Conservare non significa dimenticare. Una volta ogni sei mesi aprire le scatole, verificare lo stato dei gomitoli e cambiare la loro posizione evita che gli stessi capi rimangano schiacciati sul fondo. È anche l’occasione per ispezionare l’eventuale presenza di piccolissimi pellet di cheratina, segno che le larve hanno cominciato a nutrirsi. In caso di sospetto, isolare il lotto e ripetere il ciclo di congelamento risolve il problema sul nascere. Durante la rotazione è utile arieggiare la stanza, lasciandola qualche ora in penombra con le finestre socchiuse: un ricambio d’aria secco abbassa l’umidità relativa e rinfresca l’odore dei filati senza esporli alla luce diretta.
Trasporto e prestito dei gomitoli: custodia fuori sede
Quando un progetto richiede di portare i filati in viaggio o in un laboratorio condiviso, il miglior contenitore è la sacca in tela cerata, impermeabile all’acqua ma traspirante, dotata di coulisse che impedisce alla lana di arrotolarsi nella zip. Al rientro, prima di riporre i gomitoli nel loro alloggio abituale, è buona norma lasciarli respirare per una notte in un luogo neutro: così eventuali odori di fumo, cibo o smog si disperdono e non contaminano il resto della collezione. Se il progetto prevede scambi o prestiti tra appassionati, un’etichetta con la data di uscita e quella di rientro aiuta a ricostruire il percorso in caso si presentino danni o infestazioni.